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Innovazione e giornalismo: nuove sfide e nuove possibilità

Notizia di qualche settimana fa è l’accordo stipulato tra la Federazione Italiana Editori Giornali e Google per l’avvio di un programma di collaborazione (una mini academy con un hackaton finale) volto a sensibilizzare la stampa italiana sulle nuove possibilità offerte dalla trasformazione digitale.
 
Obiettivo target di Google è la diffusione di una reale "cultura dell’innovazione” da veicolare attraverso l’utilizzo dei nuovi strumenti digitali, primo passo fondamentale per raggiungere altri obiettivi determinanti nel settore: la nascita di nuovi modelli di business e di creazione di valore (da anni il cruccio della sostenibilità dei grandi editori online, oltre che di Facebook pronta a stretto giro a partire con le news a pagamento senza commissioni per gli editori e soprattutto Google il quale ha destinato un fondo specifico per il finanziamento di soluzioni digitali innovative applicabili al settore dell’editoria).
 
 
Facciamo un piccolo passo indietro. Diamo un piccolo sguardo al contesto.
 
Che l’Italia non fosse un Paese guidato dalla propensione al rischio e al cambiamento, oltre ad essere una costante consolidata è, ahimè, anche una triste verità.
 
A pochi mesi fa risale la pubblicazione del rapporto Desi 2017, il Digital Economy Index elaborato all’interno dell’Unione europea per stabilire quanto i 28 Paesi aderenti siano al passo con la digitalizzazione dell’economia e della società. Tanto per cambiare, il report condanna l’Italia ad un inflessibile e spietato 25° posto per competenze digitali, dai cittadini ai professionisti dell’ICT.
 
Insomma restiamo un paese di Santi, navigatori e poeti (scrittori) troppo poco digitali, ancor meno innovatori.
 
In tutto questo scenario come raccolgono ed affrontano le nuove sfide dell'innovazione i nostri giornali?
 
La sicurezza e la confort zone offerte dal sistema dei finanziamenti pubblici hanno costituito da sempre un forte deterrente per una spinta propulsiva al cambiamento e all'innovazione, esclusione fatta per i giornali online costretti a ricercare disperatamente e sperimentare lentamente nuovi modelli di sostenibilità, con l’enorme sforzo di far conciliare la dimensione qualitativa e quantitativa della rete con la propria sopravvivenza.
 
La battaglia della sostenibilità al momento vede in vantaggio ( se cosi si può dire)  solo quei pochi che grazie alla doppia dimensione carta stampata-online riescono a sopravvivere con i fondi statali o a mantenere un equilibrio che non si traduce nella creazione di nuove relazione e la possibilità di una maggiore e migliore interazione con la propria community.
 
La situazione si fa ancor più disperata nei piccoli giornali online di provincia che per sopravvivere hanno “ridisegnato" il concetto di curva di Laffer con poche righe di notizia avvolte e nascoste dalla densità ed invasività di video, banner e rich media. Altro che customer experience qui siamo di fronte ad un overload pubblicitario in stile Times square!!
 
Ora, visto che le premesse e le circostanze spingono per una nuova definizione di modelli è arrivato il  momento di chiederci perché l’ecosistema news non riesce a cambiare?
 
Uno dei libri del 2017 più letti in Silicon Valley è The Seventh Sense di Cooper Ramo, un saggio in cui l’autore invita a guardare un qualsiasi “sistema relazionale ” con occhi nuovi (da una semplice piattaforma fino ad arrivare ai problemi sociali del nostro tempo) ed analizzarlo in base alla tipologia delle connessioni che lo caratterizzano, dove per “connessioni" non ci si riferisce solo alla possibilità offerta dalla tecnologia di mettere in contatto bensì alla natura delle nuove relazioni che nascono in nuovi ecosistemi rappresentati da persone, dispositivi, informazioni.
 
Una cosa non da poco, che se da un lato avoca a sé un tempo fisiologico di propagazione (apprendimento ed esecuzione) include, per dare inzio al tutto, la necessità di un cambio radicale di prospettiva e di paradigma.
 
Afferma Kotler: “Se non si è pronti a cambiare, non accade nulla."
 
L’imperativo dei nostri tempi è la trasformazione digitale, ma a patto che se abbiamo deciso nelle nostre strategie di dar vita a questo percorso non dobbiamo limitarci all’adozione esclusiva di una nuova tecnologia.
 
Il vero approccio alla trasformazione digitale è invece people-centric: ovvero, considerare le persone i principali elementi abilitatori del cambiamento. E per “cambiamento” si intende qualcosa di profondo, ampio, di ampio respiro, non relegato solo a temi di dialettica politica o politiche aziendali. 
 
Che la stampa già si fosse scontrata con nuove dinamiche nate dall’adozione nella quotidianità delle nuove tecnologie (post verità, Facebook, bolla di filtraggio, reach organica…) ha già provato e sperimentato un fisiologico cambiamento (non proprio positivo) principalmente incentrato sulla gestione dei contenuti, con grandi e piccole testate pronte a raccontare storie non proprio edificanti che avevano come unico obiettivo il rincorrere il click del popolo dei social (clickbaiting).
 
Non solo. La velocità e soprattutto la sovrabbondanza delle fonti (overload informativo) ha generato un effetto copia/incolla (churnalism) tra i principali network di informazioni, cosa che ha fatto precipatare radicalmente la qualità in generale delle informazioni in generale e di conseguenza la "reputazione" delle testate
 
Pensiamo infatti per un momento all’enorme disponibilità di un’informazione superficiale, falsa, breve, poco analitica a cui una semplice ricerca Google oppure lo scorrere le news feed di Facebook ci permettono di accedere.
 
Ciò che dalle prime news sembra emergere è che è fortemente compromesso quel legame di fiducia tra giornale-giornalista e lettore. Inoltre, se assistiamo al ruolo sempre più centrale nella tecnologia, nel management nel marketing delle persone (clienti, lettori, fruitori..) nell’editoria vediamo che sono diventate centrali non le reali esigenze (bisogno di informazione, di analisi, di qualità dell’informazione) bensi le debolezze del lettore (post verità, bolle di filtraggio, click compulsivo, iperboli, ed emozioni a buon mercato).
 
A questo punto molti potrebbero contestare che questa roba al momento è l’unica che sembra funzionare in termini  di pseudo sostenibilità per chi lotta ogni giorno nell’online, mentre invece chiunque abbia provato a fare inchieste di qualità, approfondimenti ed articoli analitici a pagamento o modelli freemium (leggi tra l’altro anche i vari Corriere della Sera, Vice…) è stato costretto fin da subito a tornare indietro sui suoi passi.
 
Perché Facebook è diventato un colosso ed una macchina infernale?
 
Non perchè era una buona piattaforma (Google plus era migliore anni luce) ma perché è stato concepito dal soddisfare quel bisogno primario che è insito di ognuno di noi: il bisogno di relazionarsi per ricevere attenzione ed essere ascoltati. 
 
Quello che ha fatto Facebook e che invece manca nei progetti editoriali innovativi, è il partire dalle persone (anticipare un bisogno) e non inseguire le dinamiche di fruizione offerte dalla tecnologia (rincorrere una necessità).
 
E’ il primo passo di metodologie come la Lean Development, Business Design e del Customer development, approcci che aiuterebbero molto i giornali nello sperimentare nuovi modelli. 
 
Torniamo piuttosto al rapporto giornali-tecnologia.
 
Abbiamo detto è fondamentale partire dalle persone. Allora osserviamo insieme le sfide dettate dal nuovo paradigma del giornalismo delle 5c proposto in alcuni ambienti giornalistici americani. 
 
Primo passaggio focalizzarsi sulla: 
 
Contestualizzazione:  Al giornalista, oggi più che mai, viene chiesto il ruolo fondamentale di essere un gatekeeeper dell’informazione operando sintesi e lettura dei fatti della realtà, soprattutto provando ed equilibrare quella frammentarietà della notizia che vede la maggior parte delle news limitarsi ad un racconto parziale dei fatti senza offrire al lettore l’accesso ad un quadro completo dell’informazione per percepirne il senso e quindi dare valore. 
 
 
Conversazioni: Gran parte dell'intelaiatura connettiva del web ormai si basa sulle conversazioni. Un rapporto orizzontale tra giornalisti e lettori per andare verticale su una notizia ed amplificare tutte le prospettive rappresenta uno stimolo interessentante per utenti che diventa sempre più produttore(prosumer) di notizie con smartphone e connettività sempre presente. Ambizioso a tal proposito, ma per molti aspetti interessante il progetto dell'olandese The Correspondent, una piattaforma giornalistica senza pubblicità, finanziata e costruita dai membri stessi.
 
Cura: In un mondo di notizie dove velocità ed overload (sovrabbondanza) sono due direttrici fondamentali ritorna l’esigenza di avere filtri ben strutturati intorno alle esigenze del lettore. Nessuna bolla di filtraggio che alimenti e consolidi le nostre condizioni, bensì il ritorno dell’autorevolezza dei giornali ed il loro ruolo costitutivo nel dividere ciò che utile da ciò che è necessario.
 
 
Community: Una comunità è legata da un bisogno comune di informazione (a questo punto da intendersi non solo come news, racconto di fatti legati ad un territorio, ma qualsiasi informazione che abbia valore e soddisfi un bisogno reale di un lettore (“commerciale, prodotto, evento, esperienza”).
 
Riacquistare un legame forte con la propria comunità di riferimento significa modulare l’offerta delle informazioni intorno alle esigenze dei lettori, guadagnare la fiducia degli investitori con soluzioni adv che producano un ritorno tangibile, efficace, immediato, continuo nel tempo, in poche parole, incidere sui processi della vita individuale e collettiva dei propri lettori.
 
 
Collaborazione:  nel raccontare le storie in modo diverso. La sfida è quindi anche nel creare e valorizzare nuove forme di collaborazione tra tra chi a vario titolo si occupa di informazione: redazioni, giornalisti freelance, nuove professioni e non ultimi, cittadini. 
 
Se dalle 5C appena elencate può nascere un nuovo framework vediamo nel dettaglio come possono essere declinate nuove possibili soluzioni su cui costruire nuovi modelli di business.
 
 
Pensare per servizi oltre il “prodotto”
Il giornale non è solo notizia. E’ sempre più un hub di informazione  che deve e può sviluppare una serie di servizi (il Guardian ad esempio ha  sperimentato addirittura un servizio di incontri d’amore per i suoi lettori) rispetto alle esigenze di informazione della comunità. 
 
Il primo passaggio è rappresentato dall’integrare all’interno dell’ecosistema nuove informazioni e partire da un nuovo rapporto con gli inserzionisti. Il banner, ad esempio, si sa che,  sia per una questione di assuefazione da parte dei lettori, sia soprattutto perché non tutti gli inserzionisti hanno conoscenza e possibilità di strutturare un campagna ben organizzata, è ormai inflazionato. Ripensare gli spazi del giornale vuol dire creare (il native advertising è già un primo importante passo)  nuove possibilità dove vincono tutti: gli editori, i lettori, gli inserzionisti e qui Facebook ha aperto un orizzonte delle idee.
 
 
Pensare per nuove esperienze di informazione
 
Relazioni tra lettore e giornale, giornale ed inserzionisti, inserzionisti e lettore. L’informazione non è più il fine ma lo strumento all’interno si creano e si rinforzano i legami all’interno di un network. Per fra questo è opportuno rimodulare il concetto di notizia e di valore legato all’informazione che la rappresenta. Se da un lato le notizie di cronaca, politica, sport contestualizzano e raccontano il mondo in cui viviamo, conoscere nuove storie che ci raccontano dove e come divertirci, nuovi servizi da scoprire, nuovi prodotti o che ci risolvono un problema su come accedere ad un servizio hanno per noi lo stesso valore se sono tarate intorno ai nostri interessi, gusti e soprattutto al luogo in cui siamo presenti in un dato momento.
 
 
Pensare a nuove relazioni che favoriscano la convergenza
 
Ridefinire in un nuovo "contratto sociale" le necessità di investitori, giornalisti e lettori con una piattaforma che traduca la semplicità e la velocità dell’offerta con la qualità dell’informazione ricevuta. La semplificazione dell’esperienza adv concepita da Google con Adwords e semplificata ulteriormente con Facebook è fondamentale per includere anche aziende ed investitori che non avendo grandissime competenze digitali all’interno ancora non percepiscono il giusto valore delle possibilità di promozione offerte dalla rete… 
 
 
Insomma la strada da percorrere è aperta e ricca di possibilità. Il cambiamento più che una tendenza è una reale necessità. Integrazione, convergenza e nuovi modelli per ritrovarsi e rinnovarsi perché oltre le mere logiche economiche di sopravvivenza, resta sempre per i giornali di ritornare ad essere un luogo, uno spazio dove nasce quel racconto collettivo fatto di storie, tempo, qualità e ricerca indispensabili per riconoscerci e sentirci parte della stessa comunità.
 
 
 

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